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Il Padre Nostro (3)

Il Padre Nostro (3)

CATECHESI 2017-18

Il Padre Nostro

giovedì 9 novembre - 3° incontro – Il Padre Nostro

Questa sera ci soffermiamo su un altro versetto che per un verso esprime il nucleo stesso della preghiera del Padre Nostro e per un altro aspetto diventa una riflessione che bene ci introduce al tempo di Avvento.

Mi riferisco all’invocazione o anche desiderio: “Venga il tuo Regno” che introduce il grande tema del “Regno di Dio” di cui spesso sentiamo parlare nel Vangelo. Di passaggio ricordo che proprio domenica scorsa era la festa di “Cristo Re”.

L’annuncio del Regno di Dio costituisce il nucleo del messaggio di Gesù. Nel Nuovo Testamento se ne parla 122 volte, di cui 99 volte nei Vangeli. Possiamo dire che in un certo senso siamo nel cuore del Padre Nostro e questo appare ancor più vero se confrontiamo il Padre Nostro nella versione di Luca con quella di Matteo. Quella di Matteo è la preghiera che ripetiamo sempre e in questa versione l’invocazione “venga il tuo Regno” sta dentro una serie di altre invocazioni, anzi sta in capo alle altre invocazioni, ma se prendiamo la versione di Luca la dizione è più scarna, semplificata, direi essenziale: “Padre sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, dacci oggi il nostro pane quotidiano”;   cioè l’invocazione, desiderio, grido “venga il tuo regno” è un unicum, non è seguito da altre richieste.

Potremmo dire che in Luca questa invocazione implica anche le altre che troviamo nella versione di Matteo e che Luca non riporta.

 

Quando Gesù usa la parola “Regno” che cosa evoca? Cosa vuol dire “venga il tuo regno”? A che cosa ci si riferisce?

La risposta a questa domanda non è né facile né univoca. Le risposte possono essere tante.

  1. La prima risposta può essere espressa così: il “Regno dei cieli” evoca anzitutto una profonda dimensione di umanità, evoca cioè il nostro essere unici nel creato, il nostro essere diversi da tutte le altre creature. Sarebbe interessante andare a rileggere il capitolo 1 e 2 del libro della Genesi, a proposito della creazione dell’uomo:

[27]Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò.

[28]Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra».

[29]Poi Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo. [30]A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde». E così avvenne. [31]Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno.

La gratificazione di Dio per la creazione dell’uomo diventa superlativa: molto buona.

In che cosa consiste la diversità dell’uomo che fa dire a Dio che è cosa molto buona?

Qual è la differenza tra noi e tutto il resto del creato? Non è una risposta semplice:

  • Questa diversità consiste nella capacità da parte dell’uomo di creare con la fantasia, c’è un eccesso di desiderio che non si consuma, è quello spirito di cui parla la stessa creazione, lo spirito che dà vita all’uomo, l’uomo non è soltanto un essere, insieme ad altri esseri, ma l’uomo è un poter-essere, ogni meta è un nuovo inizio, è un’anticipazione, l’uomo sogna, crea utopia, vive di promesse, si alimenta di speranza, vive in una permanente ricerca del nuovo. Ricordiamo Sant’Agostino che diceva: “il nostro cuore è inquieto fino a quando non riposa in Dio”. In questa consapevolezza c’è tutto il bello dell’essere uomini e anche la percezione del nostro limite, non c’è niente che ci impedisca di guardare avanti, e quando l’uomo scopre anche nella situazione più difficile una possibile e piccola via d’uscita, di superamento, di crescita il suo desiderio di vivere si rinnova in maniera immediata.
    Siamo aperti all’infinito, alla speranza, questo è sufficiente a mandarci avanti nel cammino della vita. (esempio dei campi di concentramento)
  • La nostra condizione umana è un modo per leggere il regno di Dio; il regno di Dio è una sorta di scintilla che sta dentro, nel cuore, prima ancora che esso si realizzi.
    Tutto questo si riassume anche in una parola che attraversa la fede del popolo di Israele e che trova il suo compimento nel cristianesimo, che ha a che fare con il cammino religioso di tanti uomini e di tante donne di ogni tempo e che viene chiamata la dimensione messianica, che diventa tanto più forte quanto più grandi sono le contraddizioni di questo mondo.
  • Questa nostra condizione umana in qualche situazione diventa anche una sfida all’autorità di Dio. Pensiamo anche semplicemente al libro di Giobbe: non è lui il Creatore, il Signore dell’universo? C’è ancora qualcosa che sfugge alla sua autorità?
  1. Nell’Antico Testamento si pensò inizialmente che la signoria di Dio si sarebbe manifestata nella Signoria del re di Israele. Quando il popolo di Israele dopo la peregrinazione nel deserto, la liberazione dalla schiavitù in Egitto, arriva finalmente alla terra promessa, quanto assume una condizione stanziale vera e propria, la prima grande richiesta di carattere religioso e socio politico è la richiesta di un re che sarà identificata nella figura di Davide:
    2 Sam 7, 12-16: [12]Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. [13]Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno. [14]Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio. Se farà il male, lo castigherò con verga d'uomo e con i colpi che danno i figli d'uomo, [15]ma non ritirerò da lui il mio favore, come l'ho ritirato da Saul, che ho rimosso dal trono dinanzi a te. [16]La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre».
    Il Regno diventa una espressione incarnata nella figura del re: del re Davide, poi di Salomone ecc.
  1. In un secondo momento, nella mentalità del popolo di Israele Dio avrebbe riconciliato il mondo mediante la regolazione del culto del tempio, con l’ordine sacerdotale. La tribù di Levi si dedica esclusivamente al culto, a sottolineare l’importanza che il culto aveva per il popolo di Israele. In questo noi ritroviamo tutte le nostre esigenze di sicurezza, nel fare ordine noi percepiamo tutto sotto controllo. L’ordine cultuale esprime questa dimensione messianica, questa espressione del Regno di Dio.
  2. Un’altra corrente culturale-religiosa aspettava la riconciliazione universale con l’Apocalisse, con la rivelazione di una sapienza segreta riservata ad alcuni, in attesa di una rivoluzione cosmica improvvisa che è rivelata soltanto ad alcuni, ai sapienti.
  3. Un altro gruppo si disponeva ad anticipare il Regno con l’uso della violenza (Zeloti) e propugnavano la rivelazione definitiva della forza di Dio dentro un percorso sociale-politico di ribellione aperta contro il dittatore romano.
  4. Altri ancora, i Farisei, altra corrente religiosa dei tempi di Gesù, gente pia, pensavano che con la stretta osservanza della legge si sarebbe accelerata la venuta del cambiamento universale.

Il concetto del “Regno di Dio” è declinabile a partire da come siamo fatti noi; il nostro modo di essere è aperto a una dimensione di compiutezza che ci sfugge nel suo pieno significato.

Questa dimensione è passata storicamente attraverso il popolo di Israele che ne ha coltivato l’esistenza e la percezione nei diversi momenti della sua storia: monarchia, culto, apocalisse, ribellione, osservanza della legge.

Su questo sottofondo di speranza e di angustia si fa udire la voce di Gesù.

Il Vangelo di Marco 1, 15, esprime in maniera chiarissima: [15]«Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo».

Gesù non promette, dice “il Regno è vicino” e i segni di questo regno sono inequivocabili.

Lc 7; 17-23: [17]La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione. [18]Anche Giovanni fu informato dai suoi discepoli di tutti questi avvenimenti. Giovanni chiamò due di essi [19]e li mandò a dire al Signore: «Sei tu colui che viene, o dobbiamo aspettare un altro?». [20]Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: Sei tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro?». [21]In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. [22]Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella. [23]E beato è chiunque non sarà scandalizzato di me!».

Gesù parla del regno di Dio come qualcosa di vicino: ecco il messaggio di speranza e di gioia proclamato da Gesù. Cosa sia poi nel dettaglio il regno di Dio è più difficile dirlo perché Gesù quando ha parlato del regno di Dio, prevalentemente lo ha fatto attraverso le parabole che dicono attraverso delle analogie e delle similitudini e dei racconti cosa può essere il regno di Dio. Se prendiamo il vangelo di Matteo al capitolo tredicesimo scopriamo che il regno di Dio è:

  • un tesoro nascosto in un campo che un uomo va e acquista, Mt 13, 44
  • una perla preziosa che un uomo cerca e quando la trova vende tutti i suoi beni per acquistarla, Mt 13, 45
  • un piccolo seme gettato nel terreno che germoglia, cresce e dà frutti, Mt 13,31
  • una casa, una città, una tavola dove ci si ferma a mangiare tutti insieme,

Lc 22, 29-30: [29]e io preparo per voi un regno, come il Padre l'ha preparato per me, [30]perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno e siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele.  ;

C’è quindi nel linguaggio di Gesù uno svelare e un nascondere, un esprimere e un tacere. C’è un’ambivalenza di fondo che lascia a ciascuno la libertà di decidere senza costrizione e forzature.

 

Possiamo indicare tre caratteristiche del Regno di Dio:

  1. il regno di Dio è universale, non riguarda un gruppo, un popolo, una parte, riguarda tutti
  2. il regno di Dio è strutturale, va fino alle radici della vita
  3. il regno di Dio è definitivo, definisce la volontà ultima e definitiva di Dio

 

Si va quindi non tanto verso “una” fine, dove si troverà l’attuazione piena del regno di Dio, ma verso “un” fine cioè verso un significato pieno, armonico e straordinario della vita di ciascuno in Dio.

Il regno di Dio è un evento unico, futuro, che ha a che fare con il compimento ma che è già presente in una sorta di vicinanza essenziale. Comprendere tutto questo non è né immediato né facile e passa inesorabilmente attraverso la fede, diversamente non è possibile capire nulla. Forse non è un caso che Gesù esordisca nel suo ministero secondo la redazione di Marco: “il regno di Dio è vicino convertitevi e credete al vangelo”.

I due passaggi sono questi, ma la conversione non è semplicemente l’invito a cambiare la condotta di vita in senso etico: non fare più il male ma fa il bene. La conversione è qualcosa di ancora più profondo, ha a che fare con il nostro modo di vedere la vita nel quale ciò che conta non è soltanto la mia storia, la mia origine ma è anche il fine della mia vita, questo fine è il regno di Dio, un fine, un significato, un’armonia che riguarda me, la mia vita di oggi e che ha a che fare con il mistero del compimento. Questo ci aiuta, nella fede, a rileggere la traiettoria stessa della vita. Noi attraverso il Padre Nostro siamo invitati a rileggere il senso del nostro vivere nella sua interezza, senza rimanere vincolati al presente e senza evadere verso il futuro di fronte alle difficoltà del tempo.

Pensare all’al di là non è una sorta di evasione dal presente, una sorta di mistica dell’eternità, e il resto non conta niente, o al contrario pensare che essere presenti è una specie di anestesia dei problemi e ci si tuffa nella vita vivendo alla giornata, dicendo “a ciascun giorno basta la sua pena”.

Vivere il regno di Dio significa tenere insieme queste due dimensioni e recuperarle nella dimensione della conversione.

 

Mi piace, a questo punto, leggervi una poesia di Davide Maria Turoldo tratta dal suo libro: “Canti ultimi”, poesia che scrisse quando scoprì di essere malato, di avere un tumore che lo porterà alla fine della sua esistenza:

La sentenza che oggi tu sai

nulla di nuovo aggiunge a quanto

già doveva esserti noto da sempre:

tutto è scritto. Di nuovo

è appena un fatto di calendario.

Eppure è l’evento che tutto muta

e di altra natura

si fanno le cose e i giorni.

Subito senti il tempo franarti

tra le mani: l’ultimo

tempo, quando

non vedrai più questi colori

e il sole, né con gli amici ti troverai la sera…

Dunque per quanto ancora?

 

C’è la consapevolezza che tutto è scritto, il nuovo è un fatto di calendario e il calendario è la storia di qualcuno e che è una storia di salvezza e di redenzione, è una storia che non ha una fine ma un fine e questo fine qualche volta diventa più importante delle nostre origini, è ciò che dà senso a tutto, che diventa l’annuncio del Regno di Dio.

Il Regno di Dio va inteso, usando una parola cara a Papa Francesco, come un processo, esso si fa presente nella stessa persona di Gesù e dunque in rapporto alla persona di Gesù noi possiamo cogliere la consistenza del Regno di Dio, questa dimensione di percorso, di crescita, di cambiamento, di novità. Pensiamo ai nostri rapporti personali significativi con il marito, la moglie, i parenti, gli amici: sono dinamiche in movimento, non sono fisse, statiche.

È in questa relazione con Gesù, se è qualcosa di vivente, che noi possiamo cogliere il senso profondo e vero del Regno di Dio.

Credere nel Regno di Dio è credere nel senso finale e felice della storia, della nostra storia e della storia di tutti. È affermare che l’utopia è più reale del peso del destino, dentro il destino c’è una utopia che è il mistero della salvezza e che si qualifica come il “Regno di Dio, il Regno dei cieli”.

Questo ci aiuta a vivere bene e il vivere bene, allo stesso tempo, fa crescere in noi la percezione del Regno di Dio.

Sant’Agostino dirà: “è dunque la grazia di vivere bene che tu chiedi quando preghi: “venga il tuo Regno”.

Noi chiediamo questo, non chiediamo semplicemente di stare dentro questa relazione a tu per tu con il Signore Gesù, ma la capacità di vivere in questo nostro mondo, in questa realtà.

Vivere bene nel mondo anticipa, accelera e concretizza il Regno di Dio dentro la storia.

Regno di Dio significa quindi allo stesso tempo due cose:

  • la sovranità della gloria di Dio e la salvezza e
  • la beatitudine dell’uomo

In queste due dimensioni, orizzontale e verticale, sta il senso di questa preghiera. Ogni volta che preghiamo il Padre Nostro, in modo particolare in questo tempo di Avvento, può essere bello soffermarsi su questa invocazione: “venga il tuo Regno”.

Cosa vuol dire per me?

È il cammino verso l’incontro definitivo con il Signore, ma è anche questa presenza nell’oggi che mi permette, nella conversione nata dalla fede, di guardare alla mia vita non soltanto come quel pezzettino che ho davanti oggi, ma in tutto il suo itinerario e il suo fine, quel fine che soltanto la parola di Dio mi aiuta a scoprire piano piano, giorno per giorno. La preghiera del Padre Nostro diventa anche una bella preghiera per il tempo d’Avvento