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La riconoscenza

La riconoscenza

CATECHESI 2016-17

La preghiera

giovedì 18 maggio - 7° incontro – La riconoscenza

Dopo aver scandagliato il tema della preghiera da vari punti di vista ho pensato che la conclusione più adatta fosse parlare della riconoscenza.

È un tema per un certo verso un po’ controverso.

La riconoscenza come esperienza della vita cristiana, come virtù, non come un fatto occasionale, è un tema controverso perché oggi viviamo in una società che spesso e volentieri “organizza il dono”: viviamo una serie di feste fatte apposta perché la gente si faccia dei regali: come ad esempio la festa della mamma, del papà, San Valentino eccetera. Sono tutte feste che non hanno nessuna radice storica ma sono state immaginate apposta per comperare qualcosa. Niente da criticare o demonizzare si intende. Però, così facendo si azzera la spontaneità, perché si condizionano le persone a fare qualcosa che comunque ha un risvolto commerciale.

Inoltre siamo dentro a una società che organizza le relazioni in modo meccanico e funzionale, nel senso che tutto è finalizzato ad uno scambio: “do ut des”. Io ricevo un servizio e lo pago quindi non ho motivo di ringraziare perché quello che ricevo mi spetta.

E ancora, la sottolineatura costante e quotidiano è che siamo sempre più una società di diritti. Lo sentiamo anche nei discorsi dei politici dove si parla spesso di un allargamento della piattaforma dei diritti, diritti biologici, economici, … diritti di tutti i tipi.

Per questi motivi il tema della riconoscenza trova pochissimo spazio perché la nostra vita sociale è organizzata in modo tale che noi non dobbiamo riconoscenza a nessuno; quello che abbiamo ci spetta o al massimo è il risultato di uno scambio alla pari. La riconoscenza in questo contesto viene degradata alla semplice cortesia.

  1. Quali sono i presupposti e le caratteristiche della riconoscenza?
    1. La prima caratteristica o presupposto è che si può vivere l’esperienza della riconoscenza soltanto nei riguardi di una persona, non si può avere riconoscenza per un potere, per una legge, per un’assicurazione. La riconoscenza ha a che fare con le relazioni tra persone, due persone: una che ha o può, l’altra che riceve e ringrazia. E quando noi percepiamo di aver ricevuto un dono, avvertiamo l’esigenza della gratitudine che non è un volersi sdebitare per pareggiare i conti, ma è qualcosa di più profondo e più bello: è una dinamica che coinvolge in qualche misura gli affetti. La riconoscenza è in rapporto con la relazione. Trovo che questo aspetto nella comunità cristiana è assolutamente imprescindibile perché la comunità cristiana sussista e cresca e non corra il rischio di diventare una agenzia di servizi religiosi, il matrimonio, il catechismo, …. ecc. Se la comunità cristiana mette in secondo piano le relazioni interpersonali in cui le persone si guardano negli occhi, la comunità cristiana difficilmente cresce. Nella mia esperienza, per esempio, è diverso quando una persona viene e ti parla del suo problema, o quando ricevo delle telefonate per chiedere informazioni sui battesimi o funerali. La seconda modalità fa scattare subito un clima burocratico.
    2. Una seconda condizione che presuppone la riconoscenza è la libertà. La riconoscenza è possibile solo nello spazio della libertà. Non ringrazio quando è in gioco un diritto mio personale.
    3. Un terzo aspetto o presupposto è che la gratitudine ha bisogno del rispetto e della dignità della relazione. La gratitudine non si dà se c’è indifferenza, se c’è una sorta di concessione dall’alto in basso; non si dà neanche dove si esibisce un potere. Se qualcuno esibisce la propria superiorità la riconoscenza in qualche modo muore. Questo fa molto pensare ai modi con cui viviamo le esperienze della carità, nei centri d’ascolto, nella distribuzione alimentari, …. ecc. Sono problemi quotidiani e anche molto umani, dove abbiamo il problema di capire chi ha bisogno e chi no, chi ne approfitta, chi finge. Alle volte la tentazione è di lavorare con una certa indifferenza oppure di dare con un atteggiamento paternalistico. Perciò occorre una dimensione di delicatezza maggiore alla quale dobbiamo educarci. La parola chiave che sta al fondo di questa dimensione del rispetto e dignità è: aiutarsi. Può essere chiamato aiuto vero solo quello che rende possibile la riconoscenza, altrimenti non è un vero aiuto ma magari è una concessione, un togliersi dai piedi la persona che in quel momento ti infastidisce. Il sistemarsi la coscienza non è un vero aiuto. L’aiuto vero rende possibile la riconoscenza perché è percepito come tale. Aiutarsi fa capire che nel bisogno si è insieme e che solo casualmente ha bisogno uno al posto dell’altro. Un domani le posizioni potrebbero cambiare.
  2. Come è possibile educarsi e crescere nella riconoscenza e farla diventare una virtù?
    1. Il primo modo consiste nel coltivare la memoria. Il primo modo di essere grati è ricordarsi. È una consapevolezza che è facile smarrire, che spesso diventa evanescente. C’è un episodio del Vangelo che riprende questo tema.
      Luca 17, 11-19: 11Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, 13alzarono la voce, dicendo: «Gesù maestro, abbi pietà di noi!». 14Appena li vide, Gesù disse: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono sanati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; 16e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: 19«Alzati e và; la tua fede ti ha salvato!».
      Viviamo in una societò smemorata, siamo smemorati, siamo pieni di tanti stimoli, siamo soffocati dalle cose e ci dimentichiamo di essere riconoscenti. In questa luce penso alla festa celebrata da pochi giorni, il 25 aprile, che non è una festa commerciale ma è una data simbolo e cruciale della nostra nazione. Domandiamoci se noi coltiviamo questa memoria, il ricordo delle persone che sono state importanti per la nostra vita.
    2. Ci si educa e si cresce nella riconoscenza se si cerca di avere chiare le priorità della vita e delle relazioni. Di fatto viviamo in una cultura che tutto mescola e banalizza. Per esempio quando i ragazzi fanno qualche stupidata e li riprendiamo loro rispondono: “e vabbè… cosa vuoi che sia!”. Senza drammatizzare, però, a volte si calpestano le sensibilità degli altri senza rendercene conto e con una superficialità e disinvoltura assoluta. Bisognerebbe riprendere questo tema anche in chiave educativa con i ragazzi. Siamo molto attenti ad educarli alle buone maniere ma non li educhiamo tanto alle virtù importanti come onestà, rettitudine, rispetto.
      Inoltre noi sappiamo che ci sono state persone che ci hanno aiutato anche in maniera occasionale nei momenti decisivi, che ci hanno sostenuti in momenti di solitudine o fatica. Anche questo ci deve aiutare non solo a recuperare il senso della gratitudine ma anche quello degli esempi della nostra vita. A questo proposito ricordo un passaggio della lettera agli Ebrei.
      Ebrei 13, 7: 7Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l'esito del loro tenore di vita, imitatene la fede.”
      Nel nostro caso, capi, sono le persone che sono state significative nella nostra vita.
    3. Una terza condizione per educarci alla riconoscenza consiste nel saper dare la giusta importanza a segni e parole cioè trovare nuovi e vecchi modi per esprimersi, per esprimere la riconoscenza. A volte basta anche poco. A volte riceviamo piccole attenzioni che ci fanno bene, ma che rimangono dentro di noi. Invece è bene che vengano fuori con un gesto, una parola. Mi piace citare un altro piccolo passaggio del Vangelo di Luca, il famoso episodio della liberazione dall’indemoniato di Gerasa:
      Lc. 8, 39: “Quelli che erano stati spettatori riferirono come l’indemoniato era stato guarito. 37Allora tutta la popolazione del territorio dei Gerasèni gli chiese che si allontanasse da loro, perché avevano molta paura. Gesù, salito su una barca, tornò indietro. 38L’uomo dal quale erano usciti i demòni gli chiese di restare con lui, ma egli lo congedò dicendo: 39«Torna a casa tua e racconta quello che Dio ti ha fatto». L’uomo se ne andò, proclamando per tutta la città quello che Gesù gli aveva fatto.”
      Gesù a quest’uomo non chiede di restare lì ma gli dice di tornare a casa sua e di raccontare e in quel modo di esprimere il senso della gratitudine e del ringraziamento.
      Sono piccole modalità che ci aiutano a crescere nella riconoscenza.
  3. Infine c’è una riconoscenza che non nasce dalla necessità, dal fatto che qualcuno che ci ha fatto del bene o ci è stato vicino, ma si manifesta quando un animo bendisposto percepisce un’occasione per procurare una gioia o per illuminare la vita di qualcuno, per creare un momento di bellezza. Chi riceve questo atteggiamento può dire il suo grazie semplicemente per aver ricevuto qualcosa di bello. Allora ci sono dei momenti in cui si sente il bisogno di ringraziare qualcuno semplicemente per il fatto che c’è, che esiste. Può sembrare una contraddizione perché il fatto che uno esiste non è merito suo: c’è perché Dio l’ha creato, perché ce l’ha fatto incontrare, perché ce lo ha messo a fianco, per mille motivi… però c’è, anche se lui non ha fatto niente di speciale. In quel momento c’è una gratitudine che in qualche modo manifesta l’eco della presenza di Dio il quale, per il fatto di esistere, Lui, ci comunica questa sua esistenza come un dono ed infonde quello che noi diciamo tutte le domeniche nel Gloria: “ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa”. Queste parole non sono un omaggio da cerimoniale ma esprimono il fatto che Dio esiste, è per noi dono, si è manifestato a noi come dono. Nel fare questo ci sentiamo vicini a nostra volta al Signore che pure nella sua vita ha ringraziato in più di una occasione, ad esempio quando si è trovato con la samaritana che gli ha dato da bere acqua, ha ringraziato quando andava a casa di Lazzaro, Marta e Maria a cena o a pranzo, ha ringraziato certamente in quella bellissima preghiera che abbiamo letto in uno dei nostri incontri sulla preghiera quando dice “ti lodo Signore, perché hai rivelato queste cose ai piccoli e le hai nascoste ai sapienti e agli intelligenti”.
    In questo senso dare e ricevere esprimono, a partire da Gesù, due dimensioni che tolgono la vita dell’uomo dalla condizione funzionale del puro dovere, del semplice scambio e la rendono qualcosa di grande perché dicono che una delle dimensioni essenziali della vita è esattamente la gratitudine e il ringraziamento. In fondo, se ci pensiamo, il centro della nostra vita di fede è proprio l’Eucarestia che è il ringraziamento per eccellenza. Il grande ringraziamento, la grande riconoscenza e gratitudine alla quale convertirci e crescere per guardare la vita in un’ottica diversa rispetto a quella di chi pensa sempre di essere in credito, in credito col mondo, in credito con la vita, in credito con gli altri, e si autocondanna ad essere scontento e inappagato.

Al termine di questo anno di catechesi penso che possa essere bello per tutti noi cercare di recuperare la dimensione della gratitudine nei piccoli e grandi modi e occasioni che il buon Dio ci mette davanti.