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LA PAROLA DI DIO NON E’ INCATENATA (2)

LA PAROLA DI DIO NON E’ INCATENATA (2)

ESERCIZI SPIRITUALI DI AVVENTO 2017

LA PAROLA DI DIO NON E’ INCATENATA (2 Tim 2,9)

Martedì 21 novembre - 2° incontro

Ieri sera abbiamo parlato dell’annuncio cristiano, questa sera prendiamo le mosse da una pagina natalizia, l’annuncio ai pastori. Richiamo la vostra attenzione sul fatto che per tre volte si parla di mangiatoia.

Lc 2, 20: “[6] Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. [7] Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo.

[8] C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. [9] Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, [10]ma l'angelo disse loro: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: [11] oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. [12] Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia». [13] E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva:

[14] «Gloria a Dio nel più alto dei cieli

e pace in terra agli uomini che egli ama».

[15] Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». [16] Andarono dunque senz'indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. [17] E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. [18] Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. [19] Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore.

[20] I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.”

Nella Bibbia quando un’espressione viene ripetuta tre volte è segno che è particolarmente importante, che la si vuole mettere in evidenza. Perché la mangiatoia è importante? Credo che un aspetto molto bello della celebrazione del Natale cristiano sta nel fatto che al centro c’è una mangiatoia, cioè, una stalla, cioè un luogo sporco, che puzza, dove c’è letame, che è vita ma è anche ciò che ci mette a disagio. Ognuno porta dentro di sé la sua stalla, cioè quella parte di sè che tiene ben chiusa dentro le porte, che rimuove perché è quella parte che dà fastidio, che mette a disagio, dove non si sta volentieri, che puzza. Ognuno ha la sua stalla interiore dove ritorna in segreto. Ognuno di noi ha una parte pubblica bella, una parte privata che conoscono solo i più vicini e una parte segreta che è piena di intimità, di vitalità, ma è anche quella parte di me dove io cerco di stare il meno possibile, ma dove ritorno continuamente; è un qualcosa in cui ricado continuamente, che non mi rende libero né fiero, però ci ritorno perché lì cerco quello che non troverò mai altrove.

L’annuncio del Natale cristiano è: il figlio di Dio lì vuole nascere, in quella parte di me che non mi piace, che mi mette a disagio, di cui mi vergogno. Il nostro Dio non ha pace finché non nasce lì, finché non porta lì la sua luce, la sua vita.

Ognuno di noi vorrebbe far nascere il figlio di Dio nella parte migliore di sé, nelle azioni migliori, nei sentimenti più belli, nei ricordi più luminosi, ma Gesù dice: “grazie, ma io voglio nascere lì dove sei a disagio, dove sei schiavo, lì voglio nascere”.

Il canto degli angeli, la parola dell’angelo del Signore è soprattutto questa: il figlio di Dio ti aspetta a Betlemme, ti aspettano nella stalla. Si tratta di spalancare quella parte profonda di me alla presenza del Signore della vita. È forte questa cosa. Per questo il Natale è una celebrazione seria, perché continuamente il figlio di Dio lì vuole nascere per portare la sua luce, la sua libertà, la sua pace, la sua gioia. Rinascere dal profondo di noi grazie alla parola di Dio che nasce nella mia stalla e la spalanca, la libera, la riscatta. Io posso rinascere.

Possiamo anche ribaltare questa immagine.

La parola dell’angelo mi porta fuori da me stesso quando sono ripiegato su di me, nei miei pensieri nelle mie preoccupazioni e angosce. La parola dell’angelo vuole destare, svegliare, aprire a un mondo più grande, liberare dalla prigione che io divento per me stesso. A questo proposito regaliamoci un racconto di Pirandello che ha come titolo: “Il treno ha fischiato…”. Il protagonista del racconto è Belluca, un impiegato che tutti prendono in giro, lo considerano un asino scemo che tutti lo maltrattano. Il racconto inizia quando quest’uomo è portato in manicomio. Belluca però non era diventato pazzo. Si era accorto all’improvviso che aveva dimenticato che c’era tutto un mondo di fuori…

“Quando andai a trovarlo all'ospizio, me lo raccontò lui stesso, per filo e per segno. Era, si, ancora esaltato un po', ma naturalissimamente, per ciò che gli era accaduto. Rideva dei medici e degli infermieri e di tutti i suoi colleghi, che lo credevano impazzito.

- Magari! - diceva - Magari!

Signori, Belluca, s'era dimenticato da tanti e tanti anni - ma proprio dimenticato - che il mondo esisteva.

Assorto nel continuo tormento di quella sua sciagurata esistenza, assorto tutto il giorno nei conti del suo ufficio, senza mai un momento di respiro, come una bestia bendata, aggiogata alla stanga d'una nòria o d'un molino, sissignori, s'era dimenticato da anni e anni - ma proprio dimenticato - che il mondo esisteva.

Due sere avanti, buttandosi a dormire stremato su quel divanaccio, forse per l'eccessiva stanchezza, insolitamente, non gli era riuscito d'addormentarsi subito. E, d'improvviso, nel silenzio profondo della notte, aveva sentito, da lontano, fischiare un treno. Gli era parso che gli orecchi, dopo tant'anni, chi sa come, d'improvviso gli si fossero sturati. Il fischio di quel treno gli aveva squarciato e portato via d'un tratto la miseria di tutte quelle sue orribili angustie, e quasi da un sepolcro scoperchiato s'era ritrovato a spaziare anelante nel vuoto arioso del mondo che gli si spalancava enorme tutt'intorno. S'era tenuto istintivamente le coperte che ogni sera si buttava addosso, ed era corso col pensiero dietro a quel treno che s'allontanava nella notte.

C'era, ah! c'era, fuori di quella casa orrenda, fuori di tutti i suoi tormenti, c'era il mondo, tanto, tanto mondo lontano, a cui quel treno s'avviava... Firenze, Bologna, Torino, Venezia... tante città, in cui egli da giovane era stato e che ancora, certo, in quella notte sfavillavano di luci le vedeva, le vedeva, le vedeva cosi... c'erano gli oceani... le foreste…

E, dunque, lui - ora che il mondo gli era rientrato nello spirito - poteva in qualche modo consolarsi! Sì, levandosi ogni tanto dal suo tormento, per prendere con l'immaginazione una boccata d'aria nel mondo.

Gli bastava!”

(da Pirandello, “Il treno ha fischiato…”).

Che bello, questo è il canto degli angeli che vanno dai pastori immersi nella loro vita sempre uguale e li sveglia ad una vita più profonda, al sorgere della parola di Dio che li introduce in un modo nuovo di vivere. Nel tran tran della vita quotidiana sempre uguale, un canto, un fischio del treno che mi desti, che mi svegli alla vita vera, che si gioca nella concretezza della vita quotidiana, me la colora, la illumina, la rende più ampia, più libera. È un’immagine di conversione, un’immagine di Natale, di uno che ha spalancato la porta della sua stalla, ha scoperto una vita nuova ed è risorto come da un sepolcro scoperchiato.

Una schiavitù possibile dei nostri tempi è questa, di essere sommersi nella compulsione di una vita che non ha mai riposo, che non ha respiro ed ha bisogno di essere ridestata. Ognuno di noi ha bisogno del fischio del treno, del canto degli angeli per ridestarsi ad un modo nuovo di stare nella vita.

Il servizio che le grandi tradizioni religiose possono fare nel mondo di oggi è proprio questo, di risvegliare le persone alla vita profonda, di tenere vive nel fondo di loro le domande che ci sono dentro, quella brace infuocata che tutti abbiamo dentro ma che nella compulsione della vita quotidiana si copre di cenere. Occorre soffiare via la cenere perché la brace divampi. Allora uno vive la sua vita quotidiana e le sue relazioni nel fuoco della brace non nella cenere.

Gesù dice qualcosa di simile quando racconta la parabola degli invitati alla cena di un ricco signore e spiega come è il regno di Dio.

Lc 14, 21: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. [17] All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: Venite, è pronto. [18] Ma tutti, all'unanimità, cominciarono a scusarsi. Il primo disse: Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato. [19] Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego, considerami giustificato. [20] Un altro disse: Ho preso moglie e perciò non posso venire. [21] Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al padrone. Allora il padrone di casa, irritato, disse al servo: Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi».

La parabola va avanti ma la cosa interessante è questa, che Gesù mette in scena dei personaggi che accampano delle scuse riferendosi ai tratti fondamentali della vita quotidiana: la cura delle proprietà, il lavoro, la famiglia. Gesù sta dicendo: stai attento, c’è un modo di stare nella vita quotidiana che ti impedisce di accedere alla grande festa. È il modo compulsivo di vivere la vita quotidiana che ti impedisce di entrare nella grande festa, nel riposo del cuore. È quello che Genesi nel capitolo 1 ricorda quando racconta come Dio, dopo avere chiamato per nome le cose e queste sono emerse, al settimo giorno si riposa. Dio fa un passo indietro, si siede e dice: “ma che bello!”

Tutte le volte che nella vita ci fermiamo e diciamo: “ma che bello!” noi partecipiamo alla gioia creatrice di Dio, stiamo facendo un’esperienza teologica.

Se tutta la nostra preghiera si riduce a dire: “Che bello, grazie!” è più che sufficiente.

Imparare a riscattare la dimensione del riposo. Quando Dio si ferma e dice: “Che bello!” sta invitando ognuno di noi a non cadere nell’illusione che la nostra vita dipende da quello che facciamo. Se cadiamo in questa illusione, rimaniamo preda della compulsione di dover fare e produrre anche il settimo giorno. Invece hai bisogno di un tempo per fermarti, guardarti intorno, guardare quello che hai fatto negli altri sei giorni e dire grazie, guardare negli occhi le persone che hai intorno e dire grazie, guardare il creato, ascoltare gli altri, celebrare la vita, celebrare la preghiera, questo è il senso del riposo, questo è il senso del settimo giorno: fermarsi insieme alle persone che ami e dire grazie.

Un altro tratto dell’annuncio cristiano lo troviamo in questa poesia:

“Esploderà / non come urlo / bensì come uno sgorgo / di umanità inespressa / del poema / lo zampillo / di purità, / schianterà / la pietra che lo tiene” (Mario Luzi)

È un’immagine dei Padri della Chiesa che dicono: ognuno di noi ha dentro di sé una sorgente interiore profonda che si chiama Spirito Santo, è acqua buona che sgorga, sempre, che uno lo sappia o no, che uno lo voglia o no, sgorga sempre. È Dio che lo chiama per nome. La vita spirituale è questo: fare in modo che la sorgente d’acqua buona interiore che sgorga sempre, anche se sei il più farabutto di tutti, continui a zampillare. La vita spirituale mantiene libera la sorgente perché, per come siamo fatti, essa tende ad ostruirsi: le angosce, le preoccupazioni, i pensieri sul futuro, i ricordi che mi fanno male, il rancore, la rabbia non gestita, il ricadere sempre in quel peccato che mi chiude, la mancanza di speranza, sono foglie secche, rametti che tendono ad ostruire la sorgente che vuole sgorgare. Dalla sorgente sgorga spontaneamente acqua buona. Io non devo scavare la sorgente. La sorgente c’è già, zampilla da sola. Io non devo tirare Dio giù dal cielo, Dio mi respira dentro. Non devo convincerlo ad essere buono come non devo convincerlo a perdonarmi.

Questa sorgente profonda che zampilla sempre, che è lo Spirito di Dio che mi chiama per nome, vuole farmi volare alto, vuole farmi vivere la mia vita con gratitudine fino in fondo, non accontentarmi, vuole rendermi coraggioso e vitale.

La tradizione rabbinica racconta tutto questo con la storia della colombella.

Quando Dio ebbe finito di creare tutti gli animali del mondo, si sedette e dopo qualche giorno, vide una colombella che zampettava davanti al suo trono, triste triste. Dio la interrogò: “Colombella, perché sei triste?” La colombella rispose: “C’è il gatto che mi segue, ho paura!” Dio allora, le regalò due bellissime ali bianche sulla schiena, e le disse “Vai tranquilla”. La sera dopo la colombella ritornò zampettando davanti al trono sempre mogia e Dio le domandò “Colombella che cosa c’è?”, e lei rispose: “Il gatto!” E Dio le disse:” Ma ti ho dato le ali!” “E già, disse la colombella, prima avevo queste due zampette corte che non mi aiutano e adesso ho anche queste due ali sulla schiena che mi pesano e sono ancora più in difficoltà.” Dio allora le disse “Io non ti ho dato le ali perché tu portassi loro, ma perché loro portassero te!”

I rabbini dicono: è così che funziona la relazione tra Israele e Dio. Ecco perché il Signore creatore del cielo e della terra ha dato al suo popolo la Torà. La legge è come le due ali. Israele se le sente addosso come un peso; invece la Torà serve a volare alto, serve a liberare la vita.

La dimensione religiosa della vita vuole farci volare, non vuole tarparci le ali.

Il Vangelo riporta la calunnia che le autorità giudaiche, insieme ai soldati, mettono in giro quando Gesù risorto non è più presente nella tomba, per negare che Gesù è vivo. Le autorità si mettono d’accordo con i soldati perché dicano che il cadavere di Gesù è stato trafugato mentre loro dormivano.

La calunnia è una pietra che vuole chiudere la sorgente interiore, l’annuncio. Ma non si può trattenere l’annuncio della risurrezione.

Come si propaga l’annuncio?

Un annuncio che genera l’immaginazione.

Il cardinale Van Thuan e le guardie del carcere (cfr. Van Thuan, Testimoni della speranza, 98).

I gerarchi comunisti avevano messo due guardie a sorvegliarlo e le cambiavano ogni 15 giorni ma dopo un po’ non le hanno più cambiate, hanno lasciato le stesse perché piano piano le aveva “contaminate”, raccontando di un mondo diverso da quello del Vietnam comunista.

Le parole del cardinale accendono l’immaginario delle sue guardie. E’ così che funziona l’annuncio cristiano: ognuno di noi si è innamorato del Signore Gesù quando la sua immaginazione è divampata, conquistata dal Signore Gesù.

La potenza della parola tiene viva l’immaginazione (papa Giovanni Paolo II che da giovane faceva “Il teatro della resistenza”).

Un annuncio che abbatte i muri. Scegliamo l’esempio dell’emorroissa,

Mc 5, 25-34: [25] Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia [26] e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, [27] udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: [28] «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». [29] E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male.

[30] Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?». [31] I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?». [32] Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. [33] E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. [34] Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Và in pace e sii guarita dal tuo male».

Lo sguardo di Gesù fa emergere dalla folla indistinta la persona destinata a dire: eccomi. (Come Dio in Genesi 1, che guarda e chiama per nome.) La donna si butta in ginocchio, è consapevole di aver infranto la Torà perché non poteva toccare nessuno nelle sue condizioni, e tremante dice apertamente tutto. In questa situazione Gesù ha due possibilità: chiudere di nuovo quella donna nel suo sepolcro o liberarla. Gesù non fa finta di niente, fa molto di più, butta giù il muro che ha isolato questa donna per 12 anni e davanti a tutti dice: “figlia la tua fede ti ha salvata, va in pace.” Gesù sta indicando questa donna pubblicamente come un esempio di fede. Questa donna è liberata dal male, non solo dalla sua malattia, ma dall’umiliazione, dal male dell’ignoranza, dell’ideologia.

Ognuno di noi, con lo sguardo e la parola, ha il potere di seppellire le persone nel loro carcere o di riscattarle dalla morte, di farle risorgere. Abbiamo questo potere.

Lo Spirito del Signore

  • ci permetta di vivere la gioia di poter con fiducia spalancare le porte della nostra stalla interiore per consegnarla alla potenza di vita che vuol far emergere il meglio di noi,
  • ci permetta di sentire il fischio del treno che ci ridesta, che ci fa uscire dal nostro mondo troppo buio,
  • ci permetta di scoprire che il mondo è grande e che la vita vale la pena di essere vissuta fino in fondo.